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DORSO CURVO GIOVANILE

Definizione

Il dorso curvo giovanile è una deformità del rachide caratterizzata da un’iper-cifosi della colonna dorsale che si presenta in età giovanile, in particolare tra gli 8 e i 12 anni.

Eziopatogenesi

Le cause del dorso curvo giovanile possono essere congenite o acquisite. Le prime si attribuiscono ad agenesia o sofferenza dei nuclei di accrescimento vertebrali (Scheuermann); le cause acquisite comprendono invece: gli squilibri posturali, le forme post-traumatiche (fratture vertebrali), iatrogene (post-chirurgiche), infiammatorie (ad esempio da spondilite anchilosante), infettive (tubercolosi vertebrale o morbo di Pott), neoplastiche, secondarie a malattie sistemiche (patologie metaboliche, miopatiche, distrofiche, neurologiche) e idiopatiche.

Molto spesso queste forme di iper-cifosi sono comuni in ragazzi particolarmente alti o che hanno subito crescite molto repentine. Questo è a oggi particolarmente frequente poiché, l’accrescimento strutturale, rispondendo a stimolazioni principalmente endocrinologiche, è reso prepotente a causa di alcuni stimoli ambientali, primi su tutti quelli alimentari. Questa crescita repentina non sempre consente alle strutture aponeurotiche di adattarsi a un così rapido accrescimento. Si assiste in questi casi a un non perfetto parallelismo tra la crescita dello scheletro e quella delle aponeurosi che creano un’accentuazione della normale cifosi dorsale.

Epidemiologia

Il dorso curvo giovanile si sviluppa più frequentemente in soggetti di età compresa tra gli 8 e i 12 anni. L’incidenza è maggiore nel sesso femminile.

 Cosa comporta

Il dorso curvo può essere asintomatico o meno. I sintomi possibili sono riconducibili principalmente all’iper-tonicità della muscolatura estensoria e antigravitaria del rachide, che deve compensare l’aumentata trazione anteriore.

Trattamento

Il trattamento varia a seconda della gravità dell’alterazione. Il trattamento conservativo comprende l’esercizio terapeutico e i trattamenti di terapia manuale finalizzati all’aumento della mobilità in estensione e al rilascio delle trazioni delle catene fasciali anteriori. I principali approcci sono lo stretching e le manipolazioni fasciali dirette.

Nei casi di iper-cifosi grave del rachide, con angolo Cobb superiore ai 50°, si ricorre generalmente all’utilizzo di corsetti ortopedici fino ad arrivare all’intervento chirurgico.

Bibliografia

Margiacchi G. Tuvinelli M. “Neurofisiotaping”.

Ed. Phytoperformance. 2015

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Bocca e Postura

L’apparato stomatognatico, rappresentato dalla bocca e dai suoi annessi (muscoli, ossa, denti, mucosa, ghiandole, aponeurosi…), può avere un’importante influenza sulla genesi di diverse sintomatologie dolorose come le cefalee e le cervicalgie.

Basti pensare che in una giornata tipo, effettuiamo circa 1200 deglutizioni esercitando circa una forza di 30 kg tra l’arcata dentale superiore e quella inferiore, ad ogni atto deglutitorio. È quindi facile dedurre come un’alterazione a carico dell’apparato stomatognatico possa influenzare negativamente la meccanica deglutitoria e ripercuotersi su tutto il sistema.

Una delle interfenze neurologiche più prepotenti tra bocca e postura è rappresentata sicuramente dalle interferenze trigemino cervicali.1,2 Il nervo trigemino è deputato infatti all’innervazione di tutta la muscolatura masticatoria (massetere, pterigoideo esterno e interno, temporale) e dell’articolazione temporo-mandibolare e attraverso il suo nucleo spinale caudale situato nel tronco encefalico contrae rapporti con i primi tre mielomeri cervicali (C1,C2,C3) e con fibre sensitive del nervo vago.1,3,4,5

Quindi qualsiasi aumento della tensione di questa muscolatura, come avviene nel serramento e nel bruxismo notturno, si ripercuote per via neurologica sulla muscolatura sub-occipitale e sul nervo vago.1,6,7,8

La connessione anatomica più importante tra la bocca e la postura nella modificazione della posizione del capo è rappresentata dalla lingua e dalle sue connessioni con la muscolatura sovra e sotto-ioidea.1,3,4,5

Condizioni come open-bite ed edentulie, obbligano la lingua ad insinuarsi negli spazi aperti per rendere la bocca ermetica durante l’ingestione del cibo e negli atti deglutitori.1,7 

Lo stress continuo su questa struttura anatomica protratto nel tempo può creare delle retrazioni della catena linguale che comporteranno un atteggiamento posturale caratterizzato dall’estensione delle vertebre cervicali alte e ad una flessione della vertebre cervicali inferiori e dorsali superiori.1,9

Per interagire con tale sistema, lo gnatologo si occupa di ristabilire la simmetria cranio-mandibolare attraverso la cura dell’apparato dentario, mentre la terapia manuale rappresenta uno strumento di supporto efficace e non invasivo nel recupero della mobilità delle strutture retratte e nella diminuizione delle tensioni della muscolatura occlusale.

Bibliografia

  1. Margiacchi G. Normalizzazione della Fascia. Giacomo Catalani Editore. 2014
  2. Kumka M, Bonar J. Fascia: a morphological description and classification system based on a literature review. J Can Chiropr Assoc 2012; 56(3).
  3. Testut L, Latarjet A. Trattato di anatomia umana. UTET. 1973.
  4. Kandel ER, Schwartz JH, Jessell TM. Principi di neuroscienze. Cea. 2003.
  5. Standring S. Anatomia del Gray. Le basi anatomiche per la pratica clinica. 2009.
  6. Ghafournia M, Tehrani MH. Relationship between Bruxism and Malocclusion among Preschool Children in Isfahan. J Dent Res Dent Clin Dent Prospects. 2012 Autumn; 6(4): 138–142.
  7. Giannakopoulos NN, Hellmann D, Schmitter M, Krüger B, Hauser T, Schindler HJ. Neuromuscular interaction of jaw and neck muscles during jaw clenching. J Orofac Pain. 2013 Winter;27(1):61-71.
  8. Manfredini D, Lobbezoo F. Role of psychosocial factors in the etiology of bruxism. J Orofac Pain 2009;23:153-166.
  9. Kerr FWL, Trigeminal and Cervical Volleys Convergence on Single Units in the Spinal Gray at C-1 and C-2. Olafson RA. Arch Neurol. 1961;5(2):171-178.
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Osteopatia Cranio-Sacrale

OSTEOPATIA E TRATTAMENTO CRANICO

 

Il trattamento osteopatico in ambito craniale ha sempre ricevuto grandi attenzioni e ampie critiche sia all’interno della medicina osteopatica stessa che dal resto della comunità scientifica.

L’osteopatia in ambito cranio-sacrale originò nel 1930 dalle prime intuizioni di William G. Sutherland, DO, allievo di A.T Still, che lo portò a condurre uno studio meticoloso durato venti anni nel quale descrisse l’intera biomeccanica cranica e tutte le relazioni che esistono tra le ossa durante questo movimento. Si rese conto che spesso questo movimento era turbato e dedusse che vi erano delle disfunzioni provenienti da un’anomalia della sincondrosi sfeno basilare (1), articolazione tra corpo dello sfenoide e base dell’occipite.

Queste disfunzioni vennero classificate in fisiologiche (flessione, estensione, side bending rotation, torsione) e in non fisiologiche (strain laterale, strain verticale e compressione). Ognuna di queste disfunzioni era stata assegnata a delle distorsioni che venivano percepite posizionando le mani sul cranio e designava il movimento anomalo che secondo Sutherland effettuava la sincondrosi sfeno basilare (SSB).

Tuttavia studi successivi hanno mostrato una progressiva ossificazione di questa articolazione, in particolare si è visto che durante i primi anni di vita la crescita ossea a livello della sincondrosi sfeno basilare è presente, ma con una decelerazione di crescita lungo la faccia superiore dell’articolazione (2).

Molti autori hanno descritto le dinamiche di ossificazione di questa articolazione, e tutte sembrano concordare con una chiusura completa alla fine dell’adolescenza; in particolare si può citare uno studio condotto su 253 pazienti di età compresa tra 1 e 77 anni (3).

In questo studio dei 40 pazienti di età compresa tra 8 e 13 anni, 22 di loro presentavano già dei centri di ossificazione a livello della SSB. In 10 di loro il centro di ossificazione si trovava nella metà superiore della sincondrosi, in 7 si trovava al centro, in 4 era coperta quasi tutto lo spessore dell’articolazione e nel paziente rimanente era chiusa la metà superiore. Nel 91% dei pazienti che presentavano centri di ossificazione, è stato visto che questa componente ossea era densa come la corticale. Tutti e 20 i pazienti che hanno mostrato una sincondrosi ipodensa senza presenza di centri di ossificazione avevano un’età inferiore di 8 anni.

Nei pazienti con età superiore a 13 anni invece è stato dimostrato che la sincondrosi sfeno basilare era completamente chiusa.

La chiusura completa della sincondrosi è stata riscontrata a 13 anni nei maschi e a 12 nelle femmine.

Un altro studio condotto su crani di cadavere: 53 maschi e 25 femmine di età compresa tra 2 giorni e 24 anni, ha investigato la crescita ed il rimodellamento della SSB durante il periodo di crescita. È stato riscontrato che nei primi anni l’organizzazione della sincondrosi era simile a quella dei dischi epifisari, mentre con l’aumentare dell’età la componente di cartilagine ialina era sostituita con fibrocartilagine. Infine la sincondrosi era completamente ossificata nelle ragazze tra i 16 e i 17 anni, e circa due anni dopo nei ragazzi (4).

Ulteriori informazioni vengono da Powell e Brodie i quali, nel 1963, hanno condotto uno studio anatomico e istologico allo scopo di verificare la completa chiusura della sincondrosi sfeno basilare. Durante i loro studi è stata adoperata la laminografia mediosagittale che studia gli strati nel volume dei tessuti per analizzare lo stato dell’articolazione cranica.

Sono stati analizzati 205 uomini di età compresa tra 8 e 21 anni, e 193 donne con età compresa tra 6 e 18 anni. I risultati mostrano che l’età di completa chiusura per i maschi è 13/16 anni e per le femmine 11/14 anni. È stato riscontrato inoltre che la chiusura avviene prima sul bordo craniale e poi progredisce verso quello caudale (5).

Un interessante studio è stato condotto presso la medicina legale di Tehran (Iran). Qui l’identificazione dei resti umani sconosciuti inizia con la creazione di un profilo antropologico che include il sesso, l’età biologica, l’altezza e le caratteristiche individuali. La stima dell’età di morte si basa sui cambiamenti biologici che si verificano per tutta la vita. La chiusura della sincondrosi sfeno basilare è uno dei fattori impiegati per la stima dell’età, anche se la sua importanza e affidabilità sono state contestate da diversi autori. In questo lavoro è stato studiato il tempo di chiusura della sincondrosi su cadaveri maschi di età compresa tra 8 e 26 anni mediante ispezione diretta durante autopsia.

Gli autori hanno diviso le sincondrosi in base allo stato di fusione rilevata in: aperta, semichiusa e chiusa. I risultati hanno dimostrato che l’età media in cui la sincondrosi sfeno basilare era aperta è 12,78 anni, quello in cui era semichiusa 16,86 anni e quello in cui era chiusa 21,36 anni. Secondo i risultati sembra che la fusione della sinicondrosi inizi circa a 12 anni con una completa fusione circa a 15 anni. Questo lavoro dimostra che lo stato di chiusura della SSB può esse utilizzata come un buon indicatore per la stima dell’età (6).

Numerosi studi dimostrano, quindi, che l’articolazione alla base del cranio si chiude completamente entro la fine dell’adolescenza. Questo dato scientifico dimostra come questa regione cranica non possa essere responsabile di distorsioni dell’intero cranio; infatti una struttura che non ha gradi di mobilità, ma possiede solo un elasticità caratteristica del tessuto osseo, non può determinare né rotazioni né scivolamenti. Allo stesso modo anche se fossero traumi avvenuti nelle prime fasi di vita, dove la sincondrosi sfeno basilare possiede una mobilità conferitagli dall’elasticità della componente cartilaginea, questi non si possono ripercuotere su una struttura che diviene solida.

Da questi studi scientifici è possibile quindi dedurre che la sincondrosi sfeno-basilare non può avere nessun grado di mobilità visto che ossifica completamente.

Tuttavia vi sono altri studi scientifici che dimostrano che il cranio ha una mobilità, così come le sue suture.

Moskalenko ha effettuato uno studio utilizzando risonanza magnetica, riuscendo a dimostrare che: le ossa del cranio hanno un movimento compreso tra 380 micron e 1 mm, i ventricoli si espandono aumentando il volume di 12-15 ml, il ritmo di questo movimento è di 6-14 cicli al minuto (7). Lo stesso Moskalenko attraverso misurazione bioimpedenziometrica ed ecodoppler transcranico ha misurato la presenza di oscillazioni lente delle ossa craniche, dimostrando che questi movimenti sono attribuibili a meccanismi di regolazione delle scorte di sangue e di consumo di ossigeno da parte del tessuto cerebrale e dalle dinamiche di circolazione del liquor cefalorachidiano.

Un altro studio effettuato su due cadaveri freschi pompando manualmente una soluzione salina all’interno dei ventricoli cerebrali ha mostrato che il cranio ha una capacità di espansione di quasi 1 cm e la sua pressione intracranica è aumentata di 15 mmHg (9).

Da questi studi possiamo dedurre che il cranio è mobile, che le sue suture son in grado di espandersi e tornare alla loro posizione iniziale e che il cranio riesce ad adattare parzialmente a delle pressioni interne aumentando il proprio volume.

Questo movimento è dovuto all’espansione dei ventricoli che durante la fase di secrezione e produzione del liquor cefalorachidiano aumentano il loro diametro orizzontale per poi tornare alla loro posizione iniziale.

Questa struttura scheletrica, avendo quindi una sua mobilità, potrà essere influenzata da traumi diretti e/o microtraumatismi che potranno causare delle limitazioni in alcune regioni del cranio, come del resto può avvenire in tutte le articolazioni del corpo.

La letteratura scientifica è tuttavia carente sulla reale efficacia della terapia manuale sul cranio visto che i risultati riportati in letteratura sono eterogenei e insufficienti per trarre delle conclusioni (10).

L’unica attendibilità e riproducibilità nella valutazione palpatoria del cranio è la percezione della rigidità delle sue suture. Non esistono infatti studi in grado di dimostrare che forme di palpazione estremamente fine del cranio alla ricerca di micromovimenti possano avere un minimo di attendibilità (11).

Tuttavia un approccio volto a ripristinare la mobilità delle suture craniche potrebbe avere riscontri positivi su alcune manifestazioni cliniche come ad esempio su alcune cefalee.

Alcune patologie come l’idrocefalo, forme neoplastiche o emorragiche che esercitano uno stiramento eccessivo dovuto allo stiramento della dura madre e dei nervi cranici che causano cefalee(11).

In fisiologia, invece, può verosimilmente accadere che una diminuzione della mobilità delle suture craniche crei una tensione costante sui setti durali, che perderanno così la loro normale messa in tensione ritmica (11). In questi casi sarà possibile valutare la rigidità delle suture craniche e attuare tecniche specifiche volte a normalizzare la mobilità delle suture (11) e riportare così il cranio in una condizione più fisiologica.

CONCLUSIONI

BIBLIOGRAFIA

    1.  Sutherland WG. “The cranial bowl. Delivered before the annual meeting of the Eastern Osteopathic Association”. New York City. 1943.
    2.  Irwin GL. “Roentgen Determination of the Time of Closure of the Spheno-Occipital Synchondrosis. Radiology”, vol. 75, p. 450-453. 1960.
    3. Okamoto K, Ito J, Tokiguchi S, Furusawa T. High-Resolution CT. “Findings in the Development of the Sphenooccipital Synchondrosis”. AJNR Am J Neuroradiol 17:117–120, January 1996.
    4. Thilander B, Ingervall B. “The human spheno-occipital synchondrosis II. A histological and microradiographic study of its growth”. Acta odontoligica scandinavica. Vol. 31: 323-334. 1973.
    5. Powell TV, Brodie AG. “Closure of the spheno-occipital synchondrosis”. The anatomical record. Volume 147, Issue 1, pages 15–23, 1963.
    6. Akhlaghi M, Valizadeh B, Gharedaghi J. “Closure time of spheno-occipital suture in the male cadavers referred to legal medicine organization”. Acta medica iranica, Vol. 46, No. 2. 2008
    7. Moskalenko YuE, Kravchenko TI, Gaidar BV, et al. The periodic mobility of the cranial bones in man. Fiziol Cheloveka. 1999;25:62-70. 
    8. Moskalenko YuE, Kravchenko TI, Vainshtein GB, et al. Slow-Wave Oscillations in the Craniosacral Space: A Hemoliquorodynamic Concept of Origination. Neuroscience and Behavioral Physiology. 2009;39:377-381
    9. Ueno T, Ballard RE, Shuer LM, Cantrell JH, Yost WT, Hargens AR. Noninvasive measurement of pulsatile intracranial pressure using ultrasound. Acta Neurochirurgica. 1998;71:66-9.
    10. Jakel A., Von Hauenschild P. “Therapeutic Effects of Cranial Osteopathic Manipulative Medicine: A Systematic Review”. JAOA, 2011Dec. Vol 111 No 12 p.685-693.
    11. Margiacchi Giacomo. “Normalizzazione della fascia”. Giacomo Catalani Editore

 

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La Lombalgia Cronica

La lombalgia cronica e riduzione di mobilità della fascia toraco lombare.

di Matteo Tuvinelli

Il dolore localizzato nella parte inferiore della schiena, meglio definito come lombalgia, è uno dei principali disturbi dell’apparato muscoloscheletrico per cui si richiede il consulto di uno specialista. La lombalgia è un sintomo, la causa può essere di varia natura: muscolare, disco-articolare, viscerale o sistemica. Tuttavia l’importanza del ruolo svolto dalla fascia toraco-lombare nella lombalgia cronica è poco conosciuta.  La fascia toraco-lombare è composta da densi strati di tessuto connettivo separati da strati di tessuto connettivo lasso che normalmente consentono uno scivolamento dei tessuti durante il movimento del tronco.

lombalgiaE’ stato condotto uno studio presso l’università di Vermont (USA) allo scopo di quantificare il movimento intrinseco della fascia toraco-lombare con ecografia in soggetti con e senza lombalgia cronica. Sono stati testati 121 soggetti, 50 senza mal di schiena e 71 con mal di schiena presente da almeno 12 mesi. In ciascun soggetto è stata acquisita una registrazione ecografica in ambedue i lati della fascia toraco-lombare durante la flessione passiva del tronco. E’ stato calcolato lo spostamento dei tessuti all’interno della fascia toraco-lombare attraverso ecografia.

I dati hanno evidenziato che la deformazione della fascia toraco-lombare era ridotta nel gruppo con lombalgia cronica rispetto al gruppo senza lombalgia. Non c’è stata evidenza che questa differenza era dipesa dal sesso, anche se nel complesso i soggetti maschi avevano un grado di deformazione della fascia toraco-lombare significativamente più bassa rispetto alle femmine.

Conclusioni: La fascia toraco-lombare nei soggetti con lombalgia cronica presenta una mobilità inferiore del 20% rispetto ai soggetti asintomatici. Questa riduzione di moto può essere interpretata sia come meccanismo di insorgenza di una eventuale patologia del rachide o semplicemente come conseguenza di una sofferenza disco articolare.

Alla luce di questa correlazione statistica tra limitazione di scorrimento dei piani fasciali e sintomatologia dolorosa è importante che il terapista utilizzi tecniche di manipolazione fasciale in grado di normalizzare la lunghezza della fascia toraco-lombare, per ridurre significativamente il sintomo algico e per un mantenimento duraturo dei benefici ottenuti.

Sarà poi importante che il terapista ricerchi le cause che determinano la sintomatologia e, attraverso un’attenta valutazione posturale e biomeccanica, ripristini attraverso specifiche tecniche di manipolazione fasciale tutti quegli schemi disfunzionali che possono interferire con l’eziopatogenesi del dolore, migliorando la funzionalità dell’intero organismo.

Bibliografia

Margiacchi G. “La normalizzazione della fascia”. Casa editrice: Giacomo Catalani editore. 2014

Langevin HM, Fox JR, Koptiuch C, Badger GJ, Greenan-Naumann AC, Bouffard NA, Konofagou EE, Lee WN, Triano JJ, Henry SM. “Reduced thoracolumbar fascia shear strain in human chronic low back pain”. Department of Neurology, University of Vermont, Burlington VT, USA. BMC Musculoskelet Disord. 2011 Sep 19;12:203.